Sto
conoscendo Brera. No cara lettrice,
giammai stimato lettore. Non il paesino lombardo la cui squadra fu allenata all'inizio
della sua carriera di tecnico da Walter “ è colpa mia “ Zenga. Bensì Giovanni
Luigi da San Zenone Po, Pavia. Un uomo sulla cui santità non posso giurare,
sulla bravura saggistica eccome. Un bravo scrittore è abile non quando sta al
centro della scena, ma ai bordi della cornice smussando spigoli . Son quelli a
dipanar la trama e ad indicar una rotta. Quella di Brera è spedita ed esperta. Zavorrata
da strepiti e tarli, indugi e perentorietà.
In questa melina trascendente sta tutta la straordinaria umanità della prosa di
Brera. Unico a spiegare quanto la poesia nel calcio, non fosse e non sia, quello
che stazionava e circola al centro del campo quanto quello che risiedeva ai bordi, immerso
nella polvere irriconoscente di una fatica atavica che ogni domenica rinnovava
il suo trionfo per l’euforia di cuori svolti alla speranza di un gol, una
vittoria. Nella vita prima che sul campo da gioco. Perché è quella che palpita leggendo
le pagine di Gianni. Un’ èsistenza impervia e faticata, sbuffante nel rotolar
di un corsivo. Scontroso è fragrante al calar della sera. Perché è bello vangar
di sport quando la vita è tutt’altro che sportiva. Perché mentre leggo, ho l’impressione
che Brera stesse facendo qualcos’altro. E
quello che scriveva fosse quel qualcos’altro. La schiena incriccata, un
treno in ritardo, la macchina borbottona, lo stomaco vuoto. L’imprevisto
apparecchiato a regola dall’arte della vita di cui la partita di calcio era solo
una effusa tregua nella quale spandere la gravosa melassa dell’esistere. Sdraiato
in estasi. Tra il verso di una poesia in
testa e il seme di una anguria tra i
denti. E così che vivo io adesso. E così
che vorrei mi leggeste voi in questo momento. Tutti quanti son bravi a digitare
oggi come oggi. Non tutti sanno leggere ancora adesso. Molti leggono per
rilassarsi. Ma leggere non è una sedia a dondolo. È la porta del bagno che non si chiude e non si capisce perché. Chi si chiede questo
perché è il lettore ideale. Chi se lo chiede e ti segue anche in bagno per
saperlo, son quelli per cui io scarabocchio e probabilmente scriveva anche
Gianni Brera. Un’Italia che non
conosceva il tiqui taca, il patetismo annoiato di certi talk show in cui le
gambe delle vallette di turno sono sovente le cos (c) e più importanti, ma per
quanto spartana e rude sapeva riconoscere ai giornali e ai suoi protagonisti la
giusta rilevanza. E Gianni Brera per quell’Italia, importante lo era davvero. Un
aedo rustico, un omone dalla magnifica parzialità . Non esiste equilibrio nello
sport (equità lo spero) vi è un annotare sofferente a tratti rabbioso invece.
Gianni Brera
non lo nascondeva anzi era sempre incazzato. Il calcio, infatti, metafora
perfetta del vivere umano, celava degli inestetismi nei quali provetto clinico,
egli pur avvocato fuggito alle lungaggini legiferine, era capace di indovinare le smagliature della realtà. Alla faccia
delle maggiorate della Settimana Incom
e le serene silhouette di Carosello. La vita allora si basava su concetti minimi e
concreti e una partita nebulosa era una slavina, una dalle maglie troppo larghe
una sciagura. Amava i combattenti feroci. Della mia Juve son certo avrebbe
amato e vorrebbe bene a Stephan
Lichtsteiner e Giorgio Chiellini : polmoni e gagliardia in
campo, sacrificio e lotta in qualche canto di Ariosto .
Io invece son solo Gaetano e qui mi fermo, sperando
qualcuno, archiviate queste miserande righe, abbia voglia di leggere quelle di Gianni
Brera. Però mi raccomando: non le legga in poltrona tra una pennichella sul divano e un tutorial sul tubo . Lo faccia
davanti a un fuoco con delle fette di
salame nel piatto e una lamina di foschia negli occhi . Badate bene: questa non è una
licenza poetica. Bensì la radiografia di un’anima. E noi purtroppo, non ne abbiamo sette come i gatti.
Cerchiamo di volerle bene quindi. A partire dal
gratificarla col giusto nutrimento. Come quello rusticano e sostanzioso offerto dai libri di Gianni Brera.
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