Se Carlo Conti potesse rinascere son
certo lo farebbe sotto le tonde sembianze di una palla stroboscopica. Una di
quelle che si metteva negli scantinati quando si voleva fare gli alternativi
senza apparire dei disadattati.
Una cover serve proprio a questo. Rinfrescare
di nuovo ciò che è destinato ad apparire vecchio e stantio.
Come questo Festival in fondo è e non si
vergogna di essere.
Perché tutto è calcolato al millimetro,
è l’unico fuoripista è regalato dalle derapate farmacologiche di Arisa e la
vista corta di Emma Marrone che vorrebbe dare di più, ma non può stretta più
che dai monacali vestiti da striminziti copioni che fanno il gioco di chi, come
il Conti impegnato a riciclarsi in una versione stempiata del riportato Baudo,
non ha in fondo, molto da dire.
Iersera, rinfrancato da storie già,
scritte è apparso addirittura più rilassato del solito azzardando siparietti
rap con un sempre sereno Moreno (son due anni che yoyoneggia sul tubo catodico
e lui ride incurante dei maroni altrui) e prendendosi snelle rivincite su degli
imbolsiti Spandau Ballett.
Il resto son solo cover. Versioni arrangiate
di spompati riempi pista. Quelli che a quattordici anni ti permettevano di
superare l’imbarazzo dell’insalata russa e puntare dritto a qualcosa di più di
un’anonima tapparella. Quelli che se non si era strafatti di Coca (Cola cosa avevate capito?) ci scappava pure
un bacio e si tornava a casa felici e dubbiosi se da quel tenero approccio
poteva nascere un fidanzamento o peggio un bambino.
Purtroppo in questo Festival di Sanremo
dal credo monastico e sapore liturgico, questo dubbio non esiste spazzato via
da abiti e acconciature da elettroencefalogramma piatto. E’ così aldilà delle
buone intenzioni, e qualche sgasata nello spazio siderale dell’allucinata
follia di Massimo Ferrero e la mordace ironia di Luca e Paolo (loro sì a
proprio agio sul palco di Sanremo a differenza dell’inopportuno Siani e lo spaesato
Pintus), si ha l’impressione che il sorriso compiaciuto di Conti corrisponda
alla perfezione con quello che sin dall’inizio lo scuro toscano voleva creare: uno show da dopolavoro vip che illuminerebbe le serate di
qualsiasi centro anziani di una volta, non certo quelle dei centri anziani di
oggi che sembrano delle oasi caraibiche.
Molte esibizioni a dire il
vero (apparte quelle dedicate ai defunti), vorrebbero cavalcare questo fiorito
trend dal quasi morto Raf senza mordente a dire il vero. Ma dov’è finito quell’uomo
che nel pieno degli anni 90 rivendicava senza pudore e chioma al vento, una centralità
maschile minata dall’emancipazione femminile?
Sparito. Annebbiato da un’opacità, quantomeno
sospetta, non incide più di tanto.
Ci vorrebbe un po’ di
stucco. Giungono le gambe di Nina Zilli. Una versione due punto zero di Mina con le
palle vere scrivevo ieri. Da football americano stile Alicia Keys aggiungo
oggi. Un attimo fuggente di televisione fuggevole. Spazzati via dall’introversa Annalisa. Una che di ugola e capacità vocali ne avrebbe
quanto è più di altre, ma a differenza di molte (vedi Malika e Chiara), non
aggredisce lo spazio ne sfonda la telecamera e pure in groppa alla sensualissima
Ti sento dei Matia Bazar canta bene ma
non straripa. Almeno quanto Bianca Atzei. A sfondar lei ci pensa da esperto bomber qual
è stato, Filippo Inzaghi. Chissà se
almeno lui lo sa con chi gioca a briscola la notte. Se lei o una versione più alta di Giusi Ferreri. Dal palco non s’è ancora
capito.
E se nella serata del
riciclo è delle imitazioni, ci sta trionfi Nek, ormai sempre più simile vocalmente
alle inconsistenti esecuzioni di Chris Martin dei Coldplay, una certezza dal
tinello di casa l’ho evinta benissimo: Carlo Conti è l’unico vero erede in RAI
di Pippo Baudo. Iersera, ha raccolto definitivamente i frutti della sua perseveranza
di conduttore soldatino sempre pronto a mettersi a disposizione dell’azienda
senza mai fare polemiche con dichiarazioni roboanti e pretenziose. Dettagli non
trascurabili in tempi di crisi e identità mutevoli perché oggi lui per la RAI è
tale e quale a Pippo Baudo e senza la necessità di ricorrere alle magie del
reparto trucco e parrucco; ormai, con l’avanzare dell’età gli è naturale. E se
continuerà a fare il soldatino e a no
n polemizzare con la Rai, condurrà molti
più Festival di lui. Il tempo è dalla sua. Il colore anche. Nero. E se gli va di
sedere come al suo conterraneo sorridente al potere, dall’anno prossimo il
Festival di Sanremo potrebbe chiamarsi Festival di Sannero. Tanto in tempi così
bui, nessuno noterebbe la differenza.
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